Diffamazione e Social Network: nessuna condanna senza previo accertamento dell'indirizzo IP

La V Sezione della Corte di Cassazione Penale si pronuncia nuovamente in merito al reato di diffamazione ex art. 595 c.p. perpetrata a mezzo internet, nel caso di specie Facebook, con la pronuncia n. 5352/2018, dalla quale emerge la questione relativa alla commissione dell’illecito “on line” e l’attribuzione dello stesso ad un determinato soggetto.

 

La linea difensiva del ricorrente si è incentrata sia sul mancato accertamento, da parte dell’accusa, dell’indirizzo IP del dispositivo dal quale sono stati inviati i messaggi a contenuto diffamatorio, sia sull’ assenza di qualsiasi prova costituita dai log file, i quali notoriamente registrano tutte le operazioni che vengono eseguite dal sistema e contenenti anche tempi ed orari della connessione.

 

Secondo la Cassazione, la sentenza emanata dal Giudice di secondo grado evidenzia l’omessa valutazione degli argomenti difensivi posti alla base dei motivi di appello, pronunciandosi altresì in modo del tutto carente in merito alla verosimile ipotesi in cui soggetti terzi, utilizzando illecitamente il nickname del ricorrente, avrebbero ben potuto inviare i messaggi diffamatori al posto di quest’ultimo.

 

In conclusione, non essendo stata ritenuta pienamente provata la corrispondenza tra il fatto-reato e il suo presunto autore, è stato coerentemente disposto l’annullamento della sentenza di condanna con rinvio al fine di riesaminare l’intera vicenda.